A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor
Minority report
Un punto di vista alternativo rispetto al consensus di mercato.
Le presenze invisibili è una raccolta di racconti di fantascienza dello scrittore statunitense Philip K. Dick, scritta tra il 1953 e il 1960. Da uno di questi racconti, Rapporto di minoranza (o Minority Report in inglese), nel 2002 è stato tratto un lungometraggio, diretto da Steven Spielberg e interpretato da Tom Cruise. Si tratta di un film visionario, ambientato a Washington nel 2054, in cui gli omicidi vengono eliminati grazie alle premonizioni di tre individui dotati di poteri extrasensoriali, che permettono alla polizia di impedire gli omicidi prima che essi avvengano e di arrestare i potenziali colpevoli.
Il film, nel quale si vedono tecnologie oggi disponibili come lo scanner dell’iride oculare e le auto a guida autonoma, si basa sul concetto di “rapporto di minoranza”, ovvero una versione diversa rispetto alle visioni dei tre preveggenti, che viene tenuta nascosta per mantenere il sistema infallibile e infalsificabile.
Anche sui mercati azionari esistono diversi rapporti di minoranza: da un lato, una versione più comune (definita consensus) e, dall’altro, una serie di visioni alternative, più o meno probabili. I portatori di questi pensieri alternativi vengono spesso definiti contrarian, cioè persone che la pensano in modo differente rispetto alla media. Non è detto che si debba per forza appartenere a una delle due categorie, così come non esiste una strategia che abbia sempre la meglio sull’altra.
Ci sono delle fasi in cui bisogna seguire il trend. La celebre frase di Charles Dow, padre dell’indice Dow Jones e figura di spicco dell’analisi tecnica, “Trend is your friend”, indica che i mercati seguono delle tendenze simili a quelle delle maree: prima avanzano, poi retrocedono e successivamente si spingono ancora più in avanti, in un processo di continuo avanzamento fino ad un punto in cui il processo si inverte. In questi stadi è necessario individuare la tendenza e mettersi al traino.
Tuttavia, ci sono anche dei momenti in cui, quando la maggior parte degli operatori di mercato pensa allo stesso modo, è sufficiente un piccolo cambio di percezione per portare a movimenti importanti e quindi serve essere contrarian.
L’argomento più dibattuto ora sui mercati è quello legato ai dazi e alle tariffe imposte da Trump, con le ultime novità provenienti dalle lettere inviate a vari Paesi che indicano la scadenza tassativa e non rinviabile del 1° agosto e l’aliquota che verrebbe applicata qualora non si trovasse un accordo. Ha fatto molto rumore il 30% imposto all’Unione Europea e al Messico e il 35% al Canada, ma la narrativa comune, il consenso del mercato, è che verrà trovato un accordo, al quale i governi stanno già lavorando, che limiterà quindi l’impatto e consentirà ai mercati finanziari di non essere colpiti.
D’altra parte, Trump ha inviato queste lettere confermando, di fatto, a quasi tutti i Paesi le tariffe annunciate durante il Liberation Day del 2 aprile. Solamente per il Brasile e l’Unione Europea è previsto un aumento importante: per il primo dal 10% al 50%, per la seconda dal 20% al 30%. Ciononostante, l’aspettativa è che il presidente americano ripeta quanto avvenuto nei mesi scorsi, stante l’impossibilità di chiudere accordi con tutti i Paesi in tre settimane e, dunque, un eventuale rinvio con la definizione di aliquote tra il 10% e il 20% un po’ per tutti i Paesi.
È necessario però creare un rapporto di minoranza perché sappiamo quanto l’imprevedibilità di Trump può sorprendere i mercati e perché si vede un’elevata convergenza di opinioni sul tema. L’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) stima un impatto sulla crescita europea dello 0,1% in caso di dazi al 10% e dello 0,4% se fossero al 30%. Se aggiungiamo l’effetto del deprezzamento del dollaro, arriviamo a una ricaduta massima vicino allo 0,7%. Altre fonti calcolano che l’incidenza possa raggiungere anche l’1,3% a causa della svalutazione della valuta cinese che rende ancora meno competitiva l’economia europea sul mercato globale.
Si aggiunge inoltre il crollo della volatilità: se misurata sull’indice S&P 500 e su un orizzonte temporale di 15 giorni, questa raggiunge l’8% annuo, un valore bassissimo e quasi mai registrato nella storia. Per avere un metro di paragone, lo stesso dato nel periodo del Liberation Day di aprile era il 55%!
Infine, la probabilità scontata dal mercato di una recessione è scesa vicino allo 0%, altro segnale di compiacenza e tranquillità nei confronti di quelle che solo pochi mesi fa sembravano politiche commerciali scellerate che avrebbero portato la crescita economica in negativo nell’arco di pochissimo tempo.
Riassumendo: il mercato sta accettando che l’impatto dei dazi sarà molto più leggero delle prime aspettative di aprile, in quanto il presidente Trump non sta forzando troppo l’imposizione delle tariffe. Sono passati infatti più di tre mesi dall’annuncio iniziale e ci troviamo ancora in una fase in cui si stanno negoziando gli accordi e la magnitudo delle aliquote, con l’obiettivo finale duplice da parte dell’amministrazione americana di recuperare risorse per il bilancio federale senza incrementare troppo l’inflazione (la maggior parte dei dazi viene infatti scaricata sul consumatore finale) e senza impattare troppo sull’economia. Una linea sottile in cui è facile scivolare da una parte (l’inflazione) o dall’altra (la crescita economica e quindi la disoccupazione), ma sulla quale il sistema americano al momento è riuscito a rimanere. Sembrerebbe, però, il momento giusto per iniziare a pensare in modo diverso dal coro e costruirsi un “minority report”, sfruttando ad esempio la bassa volatilità per implementare strategie di copertura, senza esagerare troppo nella prudenza perché il trend sembra ancora essere intonato positivamente, almeno in Europa.
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