A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor
L’arte di fare affari
Tecniche di trattativa e riflessi sui mercati.
Nel 1987 l’attuale presidente Donald Trump scrisse il libro The Art of the Deal, tradotto nel 1989 in italiano come L’arte di fare affari. È in parte un’autobiografia, scritta in collaborazione con il ghostwriter Tony Schwartz, e in parte un libro di consigli per avere successo negli affari, riassunti in undici passaggi. Il volume fu un bestseller, restando per tredici settimane al primo posto e per quasi un anno tra le prime dieci pubblicazioni più vendute negli USA. Donald Trump, ai tempi, l’aveva definito il suo secondo libro preferito dopo la Bibbia.
Leggendolo possiamo trovare tantissime analogie con quanto è successo in questo periodo di negoziazione su dazi e tariffe. Tralasciando i problemi di veridicità della parte autobiografica (esistono infatti diversi siti di fact checking che contestano i ritorni millantati sugli investimenti), possiamo ritrovare numerosi riferimenti agli undici passaggi su come ottenere successo, applicati in modo magistrale nella negoziazione con l’Unione Europea. Al momento la trattativa si è conclusa con l’imposizione di una tariffa universale del 15% e un accordo a parte per altri settori.
Innanzitutto, la prima regola dice di “pensare in grande: se si deve pensare comunque, tanto vale pensare in grande. Non si tratta solo di un consiglio positivo; è un approccio intelligente che cambia il modo di negoziare.” Ovvero, se si devono imporre tariffe, tanto vale applicarle a tutto il mondo.
La seconda, invece, consiglia di “massimizzare le opzioni mantenendo la flessibilità: ciò significa lavorare su diversi accordi contemporaneamente, non attaccarsi troppo a un singolo risultato creando opportunità quando i primi piani non funzionano”. Nel libro si racconta la storia di un progetto (West Side Yards) in cui Trump ha cambiato strategia in corso d’opera, passando da abitazioni a medio reddito a condomini di lusso, fino a spazi commerciali e impianti sportivi, adattandosi alle condizioni di mercato. Il tycoon spesso persegue accordi da sogno molto pubblicizzati ma, allo stesso tempo, lavora silenziosamente su alternative più pratiche. La pubblicità di progetti ambiziosi rafforza il suo marchio e crea un effetto leva per gli accordi che poi realmente si concludono.
Citando altre regole applicate in modo magistrale troviamo: “usate la vostra leva in modo strategico senza sembrare disperati”, “valorizzate la vostra posizione creando l’offerta migliore” e “fate parlare di voi attraverso la gestione strategica dei media”.
Se pensiamo infatti a quanto accaduto e ai numerosi cambiamenti di aliquote degli ultimi mesi, alla fine Trump ha applicato le regole che aveva scritto quasi quarant’anni fa e che ogni negoziatore europeo avrebbe dovuto leggere per contrastarne la tecnica negoziatoria.
L’accordo spuntato dall’Unione Europea, se così si può dire, stabilisce un innalzamento unilaterale dei dazi americani, anche se l’aumento del dazio medio effettivo rispetto al regime in vigore fino a luglio è modesto e non dovrebbe comportare revisioni alle previsioni macroeconomiche. Altri punti dell’accordo (come i presunti impegni ad aumentare le importazioni di prodotti energetici americani e gli investimenti diretti negli Stati Uniti) appaiono puramente propagandistici.
Nonostante l’accordo possa ridurre l’incertezza sul livello di accesso al mercato americano, il punto centrale verte sulla possibilità che l’amministrazione americana decida nei prossimi mesi o anni di riaprire la partita, prendendo come pretesto un’insufficiente riduzione del disavanzo commerciale, un mancato incremento degli afflussi di capitale o un aumento inferiore alle attese dell’export di combustibili fossili. Poiché, ad esempio, le scelte di approvvigionamento energetico e di investimento produttivo sono decentrate e adottate da imprese private, queste cifre vanno considerate più come un’operazione di comunicazione della Casa Bianca che come un piano concreto concordato tra UE e Stati Uniti.
Per dare qualche numero pratico, le importazioni di energia in Europa ammontavano a 431 miliardi di euro nel 2024, di cui 74 provenienti dagli USA. Per arrivare ai 200/250 miliardi annui indicati nel comunicato della Casa Bianca non basterebbe azzerare l’import russo e delle repubbliche ex-sovietiche (50 miliardi), bensì andrebbe stimato un aumento importante della domanda di energia o del suo costo, già molto più elevato rispetto ad altri continenti.
Anche i numeri sugli investimenti diretti negli USA non tornano: i dati attuali riportano investimenti di società europee negli USA nell’ordine dei 75 miliardi all’anno; la Casa Bianca parla di 100 miliardi per il periodo passato che dovrebbero salire a 250/300 miliardi. Sono numeri difficilmente ipotizzabili nell’attuale contesto, anche prendendo in considerazione un importante reshoring (comunque difficilmente realizzabile nei termini indicati, a causa della scarsità di manodopera, dei tassi elevati e dei dazi sull’import di beni intermedi).
In conclusione, Trump ha dimostrato ancora una volta la sua grande capacità di negoziazione: oltre ad aver strappato un dazio più elevato rispetto al 10% universale annunciato nel corso del Liberation Day, ha anche inserito una clausola che un giorno gli permetterà di contestare il rispetto degli accordi presi per poter tornare di nuovo al tavolo in una posizione di forza.
I mercati azionari europei, dopo una prima reazione positiva, hanno iniziato a ragionare su questa criticità. Al momento prevalgono le buone indicazioni provenienti dagli USA in termini di risultati aziendali e la spinta del settore finanziario, ma iniziano a vedersi i primi cedimenti, con tanti profit warning da settori più o meno ciclici, specialmente in Europa, dove la domanda interna fatica a tenere il passo di un rallentamento legato a tanti fattori (come i consumi statunitensi, la debolezza del dollaro e la mancanza di stimoli in Cina).
Si prospetta, quindi, un’estate fatta di accelerazioni e frenate, in attesa di capire il vero impatto dei dazi e delle incertezze dei mesi passati che hanno bloccato gli investimenti da parte delle aziende. Il mercato sconta un’accelerazione dell’economia nei prossimi mesi, uno scenario che dovrà essere confermato per poter giustificare le valutazioni attuali.
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