A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor

L’aria diventa sempre più rarefatta: siamo a 5.000, non metri di altezza ma di valore dell’indice S&P500

Il pilota automatico sembra ancora attivo al rialzo, con il radar che ci segnala qualche turbolenza in arrivo.


All’aumentare dell’altitudine la percentuale di ossigeno nell’aria resta costante mentre la pressione atmosferica diminuisce rendendo l’aria più rarefatta, con meno ossigeno a disposizione. Ad esempio, l’aria a 5.800 metri contiene solo la metà dell’ossigeno contenuto nell’aria al livello del mare. Raggiungere e superare i 5.000 metri d’altitudine significa entrare in uno degli ambienti più inospitali per l’essere umano. Fa freddo, ma non solo: l’ossigeno viene a mancare, la pressione aumenta, ogni passo pesa.

Possiamo dire lo stesso per i mercati azionari: venerdì scorso abbiamo avuto la prima chiusura della storia sopra i 5.000 punti di S&P500, dopo quattordici rialzi nelle ultime quindici settimane. La probabilità di un taglio dei tassi a marzo è ulteriormente scesa (15% adesso rispetto al 40% di una settimana fa e all’80% di inizio anno), con i tassi decennali che sono andati leggermente su (siamo ai massimi storici dell’anno al 4,17% in USA, 20 bps più in alto rispetto all’inizio dell’anno).

I risultati aziendali hanno contribuito come i turbogetti di un aereo alla salita verso quota 5.000. Le domande che tutti si fanno ora sono: siamo destinati a far rientrare i flap e stabilizzarci su queste altitudini? Arriverà una turbolenza o un vuoto d’aria? Se continuerà l’ascesa, quale sarà il motore che spingerà il tutto?

Una prima indicazione l’avremo già oggi martedì 13 febbraio alle 14.30 italiane: il dato di inflazione di gennaio in USA, il primo dal 2021 atteso sotto il 3% (2,9% per la precisione il dato aggregato, 3,7% escludendo Food&Energy) ci dirà se l’economia americana sta continuando nel percorso di rallentamento. Il rallentamento però riguarda solo l’inflazione: la FED di Atlanta elabora un dato che cerca in tempo reale di dare un’indicazione della crescita economica americana nel trimestre in corso, aggregando tredici componenti. L’indicatore si chiama GDPNow e, dopo aver superato il 4% nel mese di gennaio, si è stabilizzato in area 3,5%. Le stime del consensus sul trimestre sono invece al 2,3%, ma i mercati si sono come sempre portati avanti nello scontare una crescita economica maggiore.

La sensazione è che anche un dato leggermente superiore non sia destinato a creare grosse turbolenze: sappiamo che l’inflazione legata al prezzo delle case in USA è un indicatore lagging, ovvero ci mette dei mesi a riflettere l’andamento puntuale, gli operatori lo sanno e tendono ad escluderla nell’analizzare i dati. La narrativa delle aziende è cambiata molto: in pochi si azzardano ad alzare significativamente i prezzi e i segnali di rallentamento della domanda sono evidenti, specialmente in Cina e Germania.

Quello che può cambiare lo scenario, che abbiamo definito Goldilocks in passato, è la componente magazzini: l’essere umano dovrebbe avere memoria, ma quanto accaduto nel 2021 e 2022 sembra già acqua passata. Dopo un 2023 che ha visto una domanda molto meno effervescente, la corsa ad accaparrarsi merci da mettere in magazzino è terminata e i giorni medi sono tornati in linea con la storia, forse anche leggermente al di sotto. Se è difficile pensare a nuovi lockdown con i loro effetti sulle catene di fornitura, un miglioramento della domanda e qualche tensione geopolitica potrebbero riportare ad una accelerazione degli acquisti e far tornare tensioni inflazionistiche che al momento si considerano superate, cambiando totalmente le aspettative sui tassi.

Siamo però lontani dal percepire un cambiamento di stato, per cui possiamo pensare che i mercati possano avere il pilota automatico impostato per una leggera salita ancora nel breve, fino al 21 febbraio quando non saranno i dati macroeconomici ma Nvidia a darci uno scossone. La società riporterà i risultati del suo quarto trimestre (anno fiscale che termina il 31 gennaio 2024) e molto probabilmente batterà le stime, ma l’asticella continua ad alzarsi dopo un rialzo di quasi il 50% da inizio anno (e il traguardo dei 2 trilioni di dollari non è così lontano). Anche qui le borse anticipano sempre, per cui i 12,3 dollari di utile per azione attesi non basteranno a spingere ulteriormente il titolo. Negli ultimi giorni abbiamo visto movimenti estremi legati a flussi e paure: il +62% di ARM o il +43% di Palantir erano giustificati da risultati migliori delle attese, ma soprattutto legate a ricoperture da parte di chi aveva scommesso sul ribasso dei titoli, che erano andati molto bene nelle ultime settimane (il cosiddetto fattore Momentum). Di solito questi sono segnali di turbolenze in arrivo e con i settori più difensivi che hanno fatto male (Utilities e Consumer Staples sono tra i peggiori da inizio anno) un po’ di rotazione sembra giustificata.


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