A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor

La terra di nessuno

La calma apparente dei mercati.


La terra di nessuno tecnicamente è un territorio non occupato e rivendicato da più Stati, lasciato libero per il timore di una guerra in caso di occupazione. L’espressione è stata usata soprattutto per descrivere durante la prima guerra mondiale l’area situata tra due trincee in cui nessuna delle due parti voleva muoversi apertamente o che nessuno voleva prendere per paura di essere attaccato dal nemico durante l’azione. In questo senso fu coniato il termine in lingua inglese “no man’s land”. Con questo nome esistono serie televisive, film, ma anche vere e proprie zone nel mondo che sono “terra di nessuno”. In particolare tra l’Egitto e il Sudan si estende un’area di 2.000km² (chiamata Bir Tawil, che in arabo significa lungo pozzo), un luogo desolato dove le temperature di 45° non sono rare in piena estate e la cui popolazione è ufficialmente zero, sebbene sia spesso frequentata da tribù nomadi di passaggio. Alcuni gruppi hanno cercato di rivendicare questa terra, ma nessuno è stato riconosciuto a livello internazionale: nel 2014, Jeremiah Heaton, residente in Virginia, ha cercato di rivendicare l’area per sé, chiamandola “Regno del Nord Sudan” e autoproclamandosi re (un po’ come successe per l’Isola delle Rose in Italia). Il suo obiettivo era quello di esaudire il desiderio di sua figlia di diventare una principessa. Nonostante la storia commovente, come era prevedibile la sua rivendicazione non è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite.

Anche i mercati azionari ora sono nella terra di nessuno: l’annuncio recente di un primo tentativo di accordo sui dazi tra USA e Cina sembra l’ultimo passaggio scritto per creare un periodo di calma artificiale. Negli ultimi novanta giorni diversi eventi hanno contribuito a creare questa situazione sui mercati, tra cui una forte riduzione delle tariffe, una Fed che ha rinviato ai prossimi dati ogni decisione sui tassi, governi che non devono ancora lottare con i budget fiscali e incontri tra diplomatici per cercare di creare i presupposti per una tregua nelle varie guerre.

In generale la riduzione della volatilità (l’indice VIX è sceso sotto i 20, avvenimento raro negli ultimi due mesi), il calo del prezzo del petrolio guidato dalla volontà OPEC di pompare più greggio e il posizionamento piuttosto scarico da parte degli investitori hanno portato gli indici azionari di fatto a cancellare le perdite del mese di aprile (l’S&P500) e in alcuni casi (il DAX) a toccare i massimi storici. La difficoltà adesso è navigare tra l’enorme quantità di dati discordanti in uscita.

In particolare, la dicotomia più complessa da leggere è tra i cosiddetti dati hard e soft. I dati hard riguardano gli utili aziendali (il primo trimestre del 2025 ha battuto nettamente le attese), la disoccupazione e i dati sul mercato del lavoro in generale (sono stati creati 40.000 lavori in più in USA rispetto alle attese nel mese di aprile) e in generale tutto quello che è numericamente misurabile. I dati soft sono, invece, quelli che riguardano la fiducia, le aspettative sugli utili futuri e gli indicatori di sentiment.

I primi sono positivi e stanno delineando una fotografia molto forte dell’economia, o almeno molto più forte delle attese. I secondi stanno anticipando un deterioramento importante e che potremmo entrare in una fase di rallentamento economico e, potenzialmente, di recessione. Focalizzarsi solo su una delle due categorie si è sempre rivelato sbagliato, ma soprattutto non è corretto affidarsi solo ai dati macroeconomici: molto spesso sono indicatori basati sul passato, che ci permettono di guardare con lo “specchietto retrovisore” e perdere i trend in atto.

Un aspetto importante da ricordare è che l’economia è una scienza sociale e non una scienza matematica, infatti in università rientra nei dipartimenti di scienze sociali e studia le relazioni tra agenti economici, non le loro equazioni. Non è una disciplina simile alla fisica o alle scienze naturali dove esistono delle regole fisse ed è sufficiente analizzarle e replicarle. Possiamo usare la novella di J. L. Sampedro come esempio, analizzando la differenza tra un orologio, un gatto e il Madagascar. Mentre l’orologio può essere smontato e rimontato, mettendolo nuovamente in funzione, se si fa una completa dissezione di un gatto, per sua sfortuna, non sarà possibile dargli nuova vita. In quanto al Madagascar, l’idea di smontarlo non è proponibile. Esistono quindi metodologie di analisi differenti a seconda dell’appartenenza al sistema meccanico, biologico o sociale e non si possono impiegare gli stessi mezzi per investigarle.

Quando si studiano i mercati è quindi necessario tenere a mente che le correlazioni sono bellissime per studiare il passato, ma che i prezzi futuri sono determinati da un lato dalle aspettative e dall’altro dall’incontro tra la domanda e l’offerta. Bisogna sempre cercare di essere un passo avanti nell’analisi e usare i dati come punto di partenza.

Ragionando in questo modo possiamo dire che i mercati hanno anticipato la paura di una recessione legata all’introduzione dei dazi a inizio aprile, ma hanno poi velocemente scartato questa ipotesi una volta avuta l’evidenza, confermata giusto nelle scorse ore, di una marcia indietro, recuperando le perdite. La parte difficile da comprendere è se queste continue marce avanti e indietro hanno causato dei danni irreversibili nella fiducia dei consumatori e delle aziende. Nel primo caso sembrerebbe di no: è più importante che le persone abbiano un lavoro e uno stipendio per poter acquistare e per ora da questo lato siamo preoccupati. Sulle aziende, specialmente nei settori industriali e più lenti ad adattarsi ai cambiamenti, stiamo assistendo a un congelamento delle spese in conto capitale causate dall’incertezza e sicuramente ciò andrà a pesare sull’andamento macroeconomico.

Possiamo quindi aspettarci, nelle prossime settimane, andamenti molto divergenti tra settori, guidati più dalle aspettative che da dati reali, con indici che si muovono in modo sostanzialmente laterale. In questa terra di nessuno conta più la direzione apparente del vento, non dove ci sta veramente spingendo.


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